Referendum, cittadinanza e dignità del lavoro: la democrazia è partecipazione
- Angela Nicoletti
- 7 giu
- Tempo di lettura: 3 min

In un tempo in cui l’informazione viaggia veloce e spesso si disperde nel rumore di fondo dei social, vale la pena fermarsi a riflettere su quanto la democrazia non sia mai un fatto scontato. Il diritto al voto, oggi spesso trascurato o vissuto con disillusione, è in realtà uno dei più grandi strumenti che abbiamo per incidere sulla realtà che ci circonda. Eppure, molti dimenticano che quel diritto è costato anni di lotte, rinunce e sangue.
Come ricordava Sandro Pertini, presidente amatissimo e partigiano: «Dietro ogni articolo della Costituzione ci sono centinaia di giovani morti nella Resistenza.» È da quel sacrificio che nasce il diritto di voto, e con esso il referendum, la più diretta delle forme democratiche. Il 2 giugno 1946, le donne italiane votarono per la prima volta in una consultazione nazionale: fu la nascita della Repubblica e di una nuova consapevolezza civile. Da allora, ogni volta che siamo chiamati a esprimerci su un tema referendario, siamo invitati a partecipare alla costruzione del nostro futuro.
Tra i temi più urgenti che meriterebbero una riflessione collettiva c’è quello della cittadinanza ai figli degli stranieri nati in Italia. Migliaia di bambini e ragazzi vivono nel nostro Paese, lo frequentano, lo rispettano, lo chiamano “casa”. Ma non sono riconosciuti come cittadini. Nonostante parlino italiano, frequentino le stesse scuole dei nostri figli e condividano la quotidianità, restano ai margini del sistema giuridico. Vivono una contraddizione dolorosa: sono italiani di fatto, ma non di diritto.
Liliana Segre, sopravvissuta alla Shoah e oggi senatrice a vita, ha detto: «Quando un bambino si sente dire che non è uguale agli altri, che è escluso, che non ha diritto a essere riconosciuto, qualcosa si spezza per sempre dentro di lui.» Ed è proprio questo che dovremmo evitare: spezzare identità, negare dignità, alimentare esclusioni. Riconoscere la cittadinanza a chi nasce e cresce in Italia non è una concessione, è un atto di giustizia e di civiltà.
Ma la cittadinanza, da sola, non basta. C’è un altro terreno su cui si misura il grado di maturità democratica di un Paese: il lavoro. E non un lavoro qualsiasi, ma un lavoro sicuro, tutelato, dignitoso. Nel 2023, secondo i dati INAIL, sono state 1.041 le persone morte sul posto di lavoro. Una cifra che fa rabbrividire. È come se ogni giorno, tre persone uscissero di casa per non farvi più ritorno.
Papa Francesco, parlando di lavoro, ha detto: «Il lavoro non può essere strumento di morte, ma di vita. Non si può morire per guadagnarsi da vivere.» Eppure, troppo spesso, la sicurezza viene sacrificata in nome del profitto. I controlli scarseggiano, le responsabilità si perdono nella catena degli appalti, i lavoratori – soprattutto quelli più fragili – diventano invisibili.
Allo stesso modo, il tema dei contratti precari tocca una generazione intera. Secondo l’Istat, nel 2024 oltre il 17% dei giovani lavoratori under 35 è in condizioni di instabilità contrattuale. Contratti a termine, part-time involontari, collaborazioni mascherate da partite IVA. Non è solo un problema economico: è un problema esistenziale. Come si può pianificare un futuro, mettere su famiglia, restare in Italia, quando si vive in equilibrio su un filo teso?
È in questo scenario che il referendum può tornare a essere uno strumento vivo. Non per dividere, ma per costruire. Non per semplificare temi complessi, ma per responsabilizzare cittadini e istituzioni. Non per urlare slogan, ma per decidere insieme, con consapevolezza, su questioni che ci riguardano tutti.
Come scrisse Norberto Bobbio, uno dei più grandi teorici della democrazia: «Il problema della democrazia non è tanto quello di dare il potere al popolo, ma quello di permettere al popolo di esercitare il potere che gli spetta.» Partecipare, allora, significa esserci. Vuol dire non voltarsi dall’altra parte. Vuol dire scegliere.
In un Paese in cui troppi si sentono esclusi, invisibili o rassegnati, il referendum può essere un’occasione per rimettere in circolo speranza e responsabilità. Perché la democrazia non vive nei palazzi, ma nei gesti quotidiani di chi crede ancora che una firma, un voto, una scelta, possano fare la differenza.
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