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“Minicar, alcol e silenzi: il grido che non stiamo ascoltando”

  • Immagine del redattore: Angela Nicoletti
    Angela Nicoletti
  • 18 mag
  • Tempo di lettura: 2 min

di Angela Nicoletti


C’è qualcosa che sta franando sotto i nostri piedi. E non è un terremoto. È più silenzioso, ma altrettanto devastante. È quel senso di impotenza collettiva che ci paralizza ogni volta che leggiamo certe notizie. Una minicar schiantata contro un guardrail. Un’auto ribaltata con a bordo ragazzi appena adolescenti.


Un’altra finita giù, in un canalone. E poi ambulanze, volti stravolti, famiglie distrutte. E lacrime che non smettono mai di bruciare. Nelle ultime 24 ore, nel Lazio – e in particolare nella provincia di Frosinone – ci sono stati tre incidenti gravissimi, tutti con protagonisti giovanissimi. E tutti con lo stesso filo conduttore: velocità, incoscienza, assenza di guida, e un vuoto troppo grande lasciato intorno.


Nel frattempo, in piazza o nei parcheggi dei locali, si consumano le risse “del sabato sera”.

Ragazzi con l’alcol nel sangue più del futuro negli occhi. Coma etilico a 14 anni. Ambulanze. Sensi di colpa tardivi.


Ma forse, la parte più dolorosa, è quella che non finisce nei titoli dei giornali. È il silenzio di chi sceglie di non farcela. Perché in provincia di Frosinone, negli ultimi mesi, si è registrato un picco inquietante di suicidi tra i giovani, nella fascia tra i 14 e i 30 anni.

Un dato che fa male perfino a pronunciarlo. Un dato che non può restare una semplice statistica.


Questi ragazzi non volevano morire.

Volevano essere ascoltati.


Mercoledì scorso, a Sant’Elia Fiumerapido, ho partecipato a una lezione di legalità con il Generale Angelosanto, ex comandante del ROS. Ha detto una frase che ancora mi risuona dentro: “Quando manca l’esempio in famiglia, i ragazzi si perdono. E nel vuoto lasciato dagli adulti si insinua tutto il peggio.”


E allora, a che punto siamo? Chi li sta crescendo, i nostri figli? Chi li sta guardando negli occhi? Chi sta insegnando loro che la vita ha un valore che non sta nei follower o nell’adrenalina della notte?


La chiamata alla responsabilità


Alle istituzioni, chiediamo una presenza costante e concreta, non spot occasionali. Serve prevenzione. Serve supporto psicologico capillare. Serve una rete vera, dentro e fuori le scuole. Non possiamo reagire sempre e solo quando è tardi. Ai genitori, chiediamo di tornare a essere genitori davvero. Non amici. Non spettatori. Genitori. Che pongono limiti. Che ascoltano. Che rompono le scatole. Che piangono, ma non mollano.


Perché li stiamo perdendo, un sabato sera alla volta.

E non sempre fanno in tempo a gridare aiuto.

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    Angela Nicoletti

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