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Un’auto bruciata, una democrazia ferita

  • Immagine del redattore: Angela Nicoletti
    Angela Nicoletti
  • 27 mag
  • Tempo di lettura: 2 min

Bruciare l’auto di un magistrato non è solo un atto intimidatorio. È un gesto che sfida apertamente lo Stato. È un attentato alla democrazia.


Il fatto è avvenuto nel territorio della Procura di Cassino (Frosinone). Un’azione gravissima, che alza l’asticella del rischio, della tensione, e soprattutto della tolleranza che alcuni ritengono di potersi permettere, come se fossero immuni da ogni controllo. Ma questa volta si è andati oltre.


Chi ha lanciato quella bomba molotov non ha agito d’impulso. Ha seguito, ha osservato, ha colpito. Ha scelto di intimidire un funzionario dello Stato, una persona che svolge il proprio lavoro con riserbo, ogni giorno, nell’ombra dei fascicoli e nel peso delle decisioni. Perché di questo si tratta: di un lavoro, difficile e spesso ingrato, ma necessario.


E da che mondo è mondo – volendo citare con tenerezza il film “Guardie e ladri” con Totò e Aldo Fabrizi – ci sono i magistrati, le forze dell’ordine e chi la legge la infrange. Funziona così. Può piacere o meno, ma è il patto sociale sul quale si regge la nostra convivenza civile.


Colpire un magistrato non è solo colpire una toga, è colpire chi rappresenta la possibilità che un cittadino onesto abbia giustizia, che una verità venga a galla, che una comunità si senta tutelata. È un gesto vigliacco, che va condannato con fermezza, senza se e senza ma.


Chi indaga non lo fa per capriccio. Lo fa perché c’è un fenomeno, un malessere sociale, un illecito che va chiarito. L’inchiesta non è mai un atto personale. È un atto di dovere. Bruciare un’auto per intimorire non è solo un reato: è un fallimento culturale prima ancora che criminale.


Oggi non possiamo restare in silenzio. Serve una presa di coscienza collettiva: dobbiamo difendere chi difende la legalità, anche quando non fa rumore, anche quando la sua presenza ci scomoda.


Perché se chi indossa una toga viene messo sotto tiro, allora il bersaglio non è lui: siamo tutti noi.

E allora, a chi ancora conserva un briciolo di buon senso, rivolgo un appello semplice ma necessario: non restiamo indifferenti. Non minimizziamo, non giriamo lo sguardo dall’altra parte, non lasciamo soli coloro che, con fatica e spesso in silenzio, portano avanti il compito di garantire giustizia.


Difendere la legalità è un dovere di tutti. Anche di chi non indossa una toga, ma porta ancora nel cuore il senso delle cose giuste.

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    Angela Nicoletti

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