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Senza tutele, senza scelta: se il lavoro uccide

  • Immagine del redattore: Angela Nicoletti
    Angela Nicoletti
  • 7 mag
  • Tempo di lettura: 2 min

In un Paese dove il lavoro si fatica sempre più a trovarlo, c’è chi, pur di portare uno stipendio a casa, è costretto ad accettare qualsiasi condizione. Anche quelle che possono costare la vita. I numeri del primo trimestre 2025 confermano una realtà amara: le morti sul lavoro sono aumentate del 9,9% rispetto allo stesso



periodo dell’anno precedente. Sono già 210 le vittime, una media di più di due al giorno.


Dietro queste cifre ci sono operai, autisti, muratori, magazzinieri. Molti di loro, in cerca di un’occupazione stabile o semplicemente di un’entrata, finiscono per svolgere mansioni ad alto rischio, spesso senza una formazione adeguata e con strumenti di protezione insufficienti. A dimostrarlo è anche il dato sull’età: la fascia più colpita è quella tra i 55 e i 64 anni, spesso composta da lavoratori espulsi da altri settori, riassorbiti in ruoli faticosi e pericolosi. Ma non mancano i giovanissimi, inesperti e probabilmente poco addestrati.


A pesare, più della crisi stessa, è la qualità del lavoro. I settori più colpiti – Costruzioni, Manifattura, Trasporti e Magazzinaggio – richiederebbero competenze, sicurezza, vigilanza. Invece, troppo spesso, regnano approssimazione e precarietà. E non è un caso che il giorno con più morti sul lavoro sia il lunedì: forse quando si riparte in fretta, senza coordinamento e senza formazione, è più facile commettere un errore fatale.


Secondo l’Osservatorio Sicurezza sul Lavoro e Ambiente Vega di Mestre, oltre metà del Paese è oggi in “zona rossa” o “arancione”, ovvero con tassi di incidenza superiori alla media nazionale. Basilicata, Trentino-Alto Adige, Umbria, Abruzzo, Molise e Campania guidano tristemente la classifica, ma i numeri assoluti più alti si registrano in Lombardia e Veneto.


E poi c’è la questione degli stranieri, che muoiono più del doppio rispetto agli italiani. In molti casi sono impiegati nei ruoli più faticosi, nei turni peggiori, con meno possibilità di opporsi a ordini pericolosi o segnalare irregolarità.


Davanti a questo scenario, l’invito dell’Osservatorio è chiaro: serve un cambio di rotta, e serve subito. Non bastano campagne di sensibilizzazione o commemorazioni postume. Servono controlli, formazione obbligatoria, sistemi di protezione efficaci. Ma soprattutto, servirebbe restituire dignità al lavoro. Perché chi lavora, in Italia, non dovrebbe più dover scegliere tra sopravvivere o lavorare.

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