
Anche con un occhio solo si può scrivere il proprio destino
- Angela Nicoletti
- 17 lug
- Tempo di lettura: 2 min
di Angela Nicoletti
Fino a quel giorno non avevo mai sentito parlare di maculopatia. Era una parola sconosciuta, lontana, come tante cose che sembrano non riguardarci fino a quando, all’improvviso, diventano parte della nostra vita.
È iniziato tutto con un piccolo puntino nero davanti agli occhi. Non se ne andava, stava lì, fisso. Ho pensato: “Angela, lavori troppo, passi troppe ore al computer. Forse è solo stanchezza o ti servono degli occhiali nuovi”. Ma quel puntino non era né stanchezza né un difetto di vista.
Quando ho deciso di fare una visita oculistica era ottobre del 2010. Una data che non dimenticherò mai. Perché da quel giorno la mia vita è cambiata. Mi è stata diagnosticata una forma grave di maculopatia, una malattia oculare degenerativa che può portare, nei casi più severi, fino alla cecità.
Il mio occhio destro oggi è completamente atrofizzato. Quella macchia nera che avevo iniziato a vedere non era altro che la mia macula che si stava restringendo, distruggendo il campo visivo. Con l’occhio destro non vedo nulla, solo buio. Vivo, lavoro, guido — per quanto possibile — con un solo occhio, il sinistro.
Ricordo bene il senso di paura che mi ha travolta. Non solo fisica, ma esistenziale. Il pensiero martellante era: “E se perdo anche l’altro occhio? E se non potrò più vedere nulla?” Mi svegliavo nel cuore della notte solo per controllare se riuscivo ancora a vedere da quell’unico occhio rimasto. Era diventata un’ossessione, un’angoscia silenziosa che mi trascinava sempre più giù.
Poi, nel 2014, ho incontrato un oculista con la “O” maiuscola. Un medico, ma soprattutto una persona. Con competenza e umanità mi ha preso per mano, mi ha tirata fuori da una depressione profonda, da quel buio che non era solo visivo, ma interiore. Non mi ha restituito l’occhio perduto, ma mi ha restituito una prospettiva, la forza di guardare avanti.
La maculopatia, nella forma che mi ha colpita, non ha cura. È una realtà con cui ho imparato a convivere. E no, non è semplice. Ma la vita, con le sue battaglie, non smette mai di sorprendere.
Mi racconto qui, oggi, anche per dire una cosa che forse non si dice abbastanza: la sanità italiana, pur ferita, bistrattata e spesso criticata, sa ancora essere un luogo di eccellenza e di umanità. Ci sono professionisti che non guardano solo le cartelle cliniche, ma ti guardano negli occhi — o anche in uno solo — e ti aiutano a non sentirti sola.
Ho dovuto rinunciare a qualcosa, come guidare di sera, ma non ho mai smesso di vivere. Ho continuato a fare ciò che amo, soprattutto scrivere e raccontare, perché anche quando un occhio si spegne, le parole sanno ancora vedere.
E oggi vi guardo — con un solo occhio, sì — ma con uno sguardo intero, profondo, forse più lucido di prima.













Commenti