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“Dopo di te, nessuno”: l’omicidio di Martina e il vuoto che divora i nostri figli

  • Immagine del redattore: Angela Nicoletti
    Angela Nicoletti
  • 28 mag
  • Tempo di lettura: 2 min

di Angela Nicoletti


“Dopo di te, nessuno”, scriveva Martina in un video pubblicato appena venti giorni fa, dedicando a quel ragazzo il suo cuore ingenuo, il suo amore assoluto, la sua adolescenza luminosa. Ma quel sogno si è infranto nel modo più atroce: uccisa a colpi di bastone e pietra, nascosta in un vecchio armadio, come a voler cancellare la sua esistenza.


Aveva solo 14 anni. Lui, Alessio Tucci, ne ha 19. Ciò che è accaduto ad Afragola non può e non deve restare un caso isolato da dimenticare in fretta. L’omicidio di Martina Carbonaro è il grido di un’intera generazione che non sa più accettare un no, che non conosce i limiti, che non riconosce più il valore sacro della vita altrui.


Siamo di fronte a una crisi culturale profonda. Non solo educativa. I nostri ragazzi crescono in un vuoto cosmico fatto di social, solitudine, apparenze, rapporti tossici e modelli distorti. Non sanno più cosa sia la frustrazione, perché nessuno gliel’ha mai insegnata. Non conoscono il sacrificio di una madre o di un padre che cresce un figlio tra mille difficoltà. Non comprendono la fragilità dell’esistenza. E quando il rifiuto arriva, lo vivono come un affronto personale da punire, da cancellare, da “vendicare”.


Questa non è solo una sconfitta individuale. È una sconfitta collettiva. Delle famiglie, della scuola, della politica, delle istituzioni. Di quella generazione cresciuta tra la fine degli anni ’70 e gli anni ’80, che ha conosciuto le regole, ma che ha finito per abdicare al proprio ruolo educativo, illudendosi che il dialogo da solo bastasse, dimenticando che anche i no fanno crescere.


Martina aveva capito. Aveva capito che quello che credeva amore era diventato altro: possesso, controllo, paura. Aveva avuto il coraggio, alla sua età, di chiudere quella storia, di scegliere la libertà, la dignità, la vita. E per questo è stata uccisa.


Dove abbiamo sbagliato? Perché una generazione così giovane percepisce il no come una minaccia, come una ferita all’ego, come una condanna a morte?

Serve un intervento urgente e strutturato. Serve ricostruire un’educazione sentimentale nelle scuole. Serve restituire alle famiglie strumenti, forza, responsabilità. Serve che la politica si assuma il compito di investire nell’educazione emotiva, nei servizi di ascolto, nel presidio del disagio giovanile.


E serve anche una riflessione profonda sul mondo virtuale. I social sono diventati rifugio, tribunale, palcoscenico. Ma senza filtro, senza guida, senza consapevolezza, sono solo specchi deformanti. Paradossalmente, in luoghi dove c’è povertà materiale, come in alcuni contesti africani, resistono ancora valori solidi, perché la vita – lì – resta ancora qualcosa di prezioso. Qui, invece, si è fatta leggera, inconsistente, usa e getta.


L’omicidio di Martina va collocato in questo contesto globale. È l’estremo sintomo di una malattia silenziosa che ci riguarda tutti. Martina non può essere dimenticata. La sua morte deve servire a qualcosa. A cambiare le cose. A rompere il silenzio. A chiedere conto a chi ha responsabilità. A dire basta. Per Martina. Per tutte le giovani vite spezzate. Per quelle che possiamo ancora salvare.

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