“Quel ritorno al dopoguerra che nessuno vuole vedere”
- Angela Nicoletti
- 6 mag
- Tempo di lettura: 2 min
Aggiornamento: 8 mag
Certe cose le vedi solo se qualcuno te le fa notare.
Stavo passeggiando con mia madre, un pomeriggio qualunque, quando si è fermata di colpo. Mi ha indicato qualcosa davanti a noi, qualcosa che avevo già visto, ma senza davvero guardare.
«Guarda quanta gente davanti al compro oro.»
Erano almeno dieci persone, tutte ferme in silenzio davanti alla serranda abbassata. Erano lì in anticipo, ad aspettare che riaprisse. Ho alzato lo sguardo e mi sono resa conto che anche poco prima, passando accanto a un altro negozio simile, avevo visto la stessa scena. Due compro oro, due file. In pieno centro. In pieno giorno.
Nessuno parlava. Nessuno si guardava attorno. Uomini e donne vestiti con dignità, ma senza fronzoli, con abiti scelti per resistere, non per farsi notare. Non c’erano ragazzi, non c’erano studenti o ventenni con problemi passeggeri. C’erano anziani. Persone della terza età. I nostri genitori. I nostri nonni.
Il primo impulso è stato quello di scattare una foto. Un gesto istintivo, quasi per immortalare qualcosa che sembrava appartenere a un altro tempo. Ma poi mi sono bloccata. Per rispetto. Per vergogna, forse. Perché in quella fila c’era una verità che non si fotografa, si ascolta.
Mi sono chiesta cosa portasse quelle persone lì, cosa stavano per vendere o impegnare. Un anello? Una medaglietta? Un ricordo? Oggetti che per noi sono solo metallo, per loro erano tappe di una vita. Doni, eredità, simboli d’affetto che ora diventano scambi per sopravvivere.
Io non sono un esperta di economia. Non ho i numeri o le analisi per spiegare tutto questo. Ma vedo quello che molti fanno finta di non vedere: che sempre più pensionati, con assegni mensili che non bastano nemmeno per loro, si trovano costretti ad aiutare figli e nipoti. A coprire una bolletta, una rata del mutuo, una spesa imprevista. A tappare i buchi di un sistema che non regge più.
Quella fila, in silenzio, mi ha riportato alla mente le immagini in bianco e nero dei film del neorealismo. Le scene di povertà dignitosa, di sacrifici quotidiani, di Italia ferita ma viva. Eppure non eravamo in una pellicola di Rossellini. Eravamo nel 2025. E in quel momento ho sentito che, più che andare avanti, forse stiamo tornando indietro.
Non so cosa possiamo fare. Ma so che non possiamo più ignorarlo.

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