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Una visita tra un anno, un antidoto negato: quando la sanità pubblica smette di curare

  • Immagine del redattore: Angela Nicoletti
    Angela Nicoletti
  • 20 mag
  • Tempo di lettura: 2 min

Anna ha 73 anni, vive in provincia di Frosinone, nel Lazio. Un’operazione al cuore alle spalle e una prescrizione medica chiara: controlli cardiologici ogni sei mesi. È fragile, ma lucida. Sa bene cosa significhi vivere con un cuore da tenere d’occhio, e quanto conti ogni controllo, ogni verifica. Eppure, per il sistema sanitario della sua Regione, Anna può aspettare. La visita cardiologica le è stata prenotata per maggio 2026. Tra un anno. Come se il tempo, per chi ha problemi cardiaci, fosse un concetto astratto. Come se si potesse mettere in lista d’attesa anche la paura.


Poi c’è Francesca, giovane pendolare, una ragazza come tante. Cade nei pressi della stazione ferroviaria di Cassino. Ferite profonde, da suturare. Si reca al pronto soccorso e lì arriva la seconda scena surreale:

“Non abbiamo l’antitetanica. Deve andare in farmacia a comprarla”. Era notte. Dolore, stanchezza, disorientamento. Il sistema sanitario le ha chiuso la porta in faccia, proprio quando avrebbe dovuto essere rifugio e protezione.


Due storie. Due episodi distinti. Ma un unico, identico dolore: quello di sentirsi abbandonati da uno Stato che dovrebbe tutelare la salute dei suoi cittadini. Chi non può permettersi visite private si rassegna ad attese infinite. Chi ha bisogno urgente di un farmaco, viene invitato a cercarselo da solo. Gli ospedali mancano di personale, di risorse, di dignità operativa. E i pazienti – soprattutto i più fragili – pagano il prezzo più alto.


In questo scenario desolante, è arrivato l’appello del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, intervenuto al Festival delle Regioni a Venezia:


“Senza la pratica della leale collaborazione diviene impossibile tutelare interessi fondamentali della collettività. […] Il diritto alla salute dei cittadini richiede una strategia unitaria e la collaborazione tra istituzioni. Occorre superare intollerabili divari tra diversi sistemi sanitari regionali e garantire una copertura universale e un accesso uniforme alle prestazioni”.


Una frase che pesa come un monito. Perché oggi, nel nostro Paese, essere malati al Sud o al Nord, in città o in provincia, può fare tutta la differenza del mondo. Eppure il diritto alla salute non dovrebbe essere geografico. Non dovrebbe conoscere attese da 12 mesi né medicine “esaurite”.


Oggi, la sanità pubblica è diventata una corsa a ostacoli. Una battaglia quotidiana contro la burocrazia, le carenze, i tagli. E chi non ha soldi, conoscenze o fortuna si ritrova solo. Come Anna. Come Francesca.


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    Angela Nicoletti

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