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L’autopsia rituale: il paradosso giudiziario che ignora il dolore

  • Angela Nicoletti
  • 4 mag
  • Tempo di lettura: 2 min

di Gianfranco Izzo*


Da qualche anno, in molte Procure italiane è diventata prassi — purtroppo è proprio il caso di usare questa parola — disporre l’autopsia sul corpo di persone decedute a seguito di eventi tragici, noti a tutti e agli stessi inquirenti. Parliamo di provvedimenti firmati e motivati, ma con ragioni spesso ignote.


Non mi riferisco, sia chiaro, agli omicidi con armi da fuoco, dove conoscere il calibro dei proiettili può aiutare a risalire all’arma usata, né ai casi di presunta responsabilità medica o dove è importante stabilire l’ora della morte.


Mi riferisco — e le cronache ne sono piene — a omicidi commessi con armi da taglio, venti o trenta coltellate, da parte di persone già identificate e talvolta perfino confessanti. Eppure, il corpo della vittima — quasi sempre una donna — viene comunque sottoposto ad autopsia. Forse per verificare se, prima di essere pugnalata, sia stata avvelenata o strangolata. Ma davvero ha senso?


L’assurdo è stato superato in alcuni casi che cito come esempio, tra i tanti.

1. Un anno fa, una bambina di 7 anni muore in un terribile scontro frontale sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria, che ferisce altre cinque persone. Per accertare le responsabilità dei conducenti viene disposta l’autopsia sul suo corpo. Magari è morta per lo spavento?

2. Sempre più incredulo, ricordo l’autopsia sui corpi dei sette naufraghi annegati al largo di Palermo dopo l’affondamento dello yacht su cui viaggiavano.

3. O il caso di Napoli, la scorsa estate: una ragazza di 22 anni colpita alla testa e uccisa da una statuetta di marmo caduta da un balcone o da una finestra. Fatalità? Colpa? Intenzionalità? Non si sa. Ma intanto viene disposta l’autopsia anche su di lei, nonostante le evidenti lesioni.


L’ultimo episodio, ancora più assurdo, riguarda i quattro morti nella tragedia della funivia del monte Faito, i cui corpi, già gravemente compromessi dalla rottura del cavo, sono stati sottoposti ad autopsia.


È una pratica che non esito a definire incredibile e inaccettabile. E nessun mezzo di informazione — né giornale né televisione — si chiede il perché. Qual è lo scopo? Accertare la causa della morte? Vien da chiedersi se ridere o piangere.


Certo, i magistrati del pubblico ministero sono autonomi, e devono esserlo. Ma lo sono anche quando violano la legge — in particolare l’art. 116 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale — o quando ignorano ogni forma di pietà umana?


E soprattutto: sono liberi anche di non capire ciò che persino un bambino di cinque anni troverebbe evidente?


*già procuratore capo di Cassino

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