
Omicidio senza colpevoli: quando a uccidere è l’assenza dei genitori
- Angela Nicoletti
- 12 ago
- Tempo di lettura: 3 min
di Angela Nicoletti
Quattro ragazzini, tutti con meno di 14 anni, hanno rubato un’auto a Milano e si sono lanciati a folle velocità per le strade della città. Una corsa senza freni, senza coscienza, senza regole. Sul loro cammino si è trovata, Cecilia De Astis, una donna di settantuno anni, che stava aspettando l’autobus per tornare a casa, dopo aver passato la giornata a prestare servizio in una casa della carità.
L’auto è salita sul marciapiede, l’ha travolta e l’ha uccisa. Un impatto violentissimo, tanto assurdo quanto evitabile. I quattro, dopo l’incidente, hanno abbandonato l’auto e si sono dati alla fuga. Sono stati rintracciati nel giro di due ore: vivono in un campo Rom poco distante. Non hanno precedenti penali. Non ne possono avere: la legge italiana non prevede responsabilità penale per chi ha meno di 14 anni.
Ma questa non è solo una storia di cronaca nera. È l’ennesimo segnale di un sistema che non funziona più. E che, ogni giorno che passa, espone sempre più persone innocenti a rischi che non dovrebbero esistere.
I numeri parlano chiaro
Nel 2023, secondo i dati ACI-ISTAT, sono morti 41 bambini sotto i 14 anni in incidenti stradali. L’Osservatorio ASAPS riferisce che nel primo semestre 2024, sono già 34 i bambini morti sulle strade italiane. Ma l’aspetto più allarmante è il profilo degli autori di certi delitti.
Secondo il rapporto Criminalpol, l’11% degli omicidi nel 2024 è stato commesso da minori di 18 anni, con una crescita impressionante rispetto al 4% dell’anno precedente. Stiamo parlando di giovani che, sempre più spesso, diventano protagonisti di atti estremi, violenti, in alcuni casi letali. E, nel caso dei minori di 14 anni, l’ordinamento attuale non può – e non vuole – intervenire con fermezza.
Non è più tempo di chiudere gli occhi
Questo non vuole essere un pezzo di retorica. È un grido di allarme. Se i minori sotto i 14 anni sono sempre più coinvolti in reati gravi, significa che qualcosa si è rotto. Non c’è più nessuno che insegna il valore della vita, il rispetto della legge, la distinzione tra giusto e sbagliato. Sono ragazzi cresciuti senza un argine, senza educazione, senza guida. E chi ne paga le conseguenze sono i cittadini innocenti.
Non è accettabile.
E no, non si può continuare a rispondere con una pacca sulla spalla, un iter educativo o l’ennesima relazione dei servizi sociali. Quando si arriva a togliere la vita a qualcuno, la risposta dello Stato deve essere proporzionata.
Serve una riflessione seria su una riforma che coinvolga i genitori
Non sto proponendo soluzioni facili. Ma è ormai opportuno iniziare a prendere in considerazione una riforma che introduca forme di responsabilità penale per i genitori in casi eccezionali come questo. Non parliamo della perdita della patria potestà, né di segnalazioni burocratiche. Parliamo di pene concrete, detentive, per chi non educa, non controlla, non previene e – di fatto – permette ai propri figli di uccidere.
Quando non educhi i tuoi figli al rispetto della vita altrui, quando li lasci liberi di distruggere e mettere in pericolo gli altri, allora sei tu a commettere un omicidio. In modo indiretto, ma non meno grave.
Questa riforma, se mai sarà discussa, dovrà riguardare solo casi estremi, come quello accaduto a Milano. Ma è proprio da questi casi che lo Stato dovrebbe ripartire, se vuole recuperare un senso di giustizia credibile e tutelare davvero i cittadini.
Perché chi perde una madre, un padre, un fratello in questo modo, non ha nemmeno più il conforto di vedere fatta giustizia.
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