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Una città spezzata tra paura e silenzi. E io non riesco più a camminare con mia madre

  • Immagine del redattore: Angela Nicoletti
    Angela Nicoletti
  • 10 lug
  • Tempo di lettura: 3 min

di Angela Nicoletti


Certe cose cambiano il modo in cui guardi la tua città. Non succede all’improvviso, ma per piccoli scarti quotidiani. Il sorriso che si spegne. Il passo che si fa più rapido la sera. La panchina che eviti, perché “non si sa mai”. E io, che di Cassino ho scritto tutto e il contrario di tutto, oggi mi ritrovo a dire una cosa semplice e terribile: non riesco più a passeggiare con mia madre.


Succedeva qualche settimana fa. Una sera come tante, una delle nostre solite camminate sul Corso, una piccola abitudine che sapeva di vita normale. Siamo arrivate alla parte finale di Corso della Repubblica, ci siamo sedute su una panchina. Un attimo dopo, tutto è cambiato. Un uomo, visibilmente ubriaco, occhi rossi e pupille dilatate, si è avvicinato. Parlava una lingua che non conoscevamo, voleva a tutti i costi sedersi accanto a noi. Non dimenticherò mai quello sguardo. Era inquietante, carico di qualcosa che non so descrivere ma che ci ha gelato il sangue.


La nostra fortuna è stata che alcune persone di passaggio hanno compreso la situazione e ci hanno raggiunto. Siamo andate via con loro. Ma se fossimo state sole? Se mia madre, che è cardiopatica, avesse avuto un malore per lo spavento? Nessuno può capire davvero cosa si prova finché non gli succede. È per questo che da allora le camminate serali non le facciamo più, se non in auto e sempre vicino al centro.


Ma l’insicurezza non è nata ieri. È una sensazione che cresce giorno dopo giorno, che si insinua anche dove una volta ci sentivamo al sicuro. Non è solo un problema di ordine pubblico, ma di assenza di controllo e di responsabilità diffuse. A Cassino c’è una presenza crescente di minorenni e giovani stranieri, ospiti di strutture, che si aggirano a tutte le ore, spesso privi di qualsiasi riferimento educativo o familiare. Non parlo dei volti noti e storici, persone educate e integrate. Parlo di chi vive ai margini, di chi sembra scomparire di giorno e riemergere di notte, in cerca di identità e attenzione.


E qui torno a una storia che mi ha segnata nel profondo. Quella di “Welcome to Italy”, un’inchiesta giudiziaria che ha portato alla condanna di 22 persone proprio a Cassino, per un sistema criminale fondato sull’accoglienza deviata. Una rete che lucrava sulla pelle dei migranti, falsificando documenti, gonfiando numeri, mentendo allo Stato. A scoprirla sono stati i magistrati, certo, ma a sollevare il velo dell’indifferenza sono stati i miei articoli. E per aver scritto la verità, per aver raccontato l’accoglienza malata quando ancora nessuno voleva guardare, ho pagato un prezzo altissimo. Sul piano personale, professionale, umano. Ma lo rifarei. Sempre.


Dietro quei pezzi non c’era solo il mio lavoro, ma una richiesta di aiuto di un’intera città. E qualcuno l’ha ascoltata. Un magistrato coraggioso, Alfredo Mattei, ha saputo leggere tra le righe, ha capito che il racconto giornalistico non era solo denuncia, ma era un grido collettivo, soffocato per troppo tempo. Nonostante le difficoltà, nonostante l’inchiesta toccasse sfere delicate della politica italiana, da destra a sinistra, Mattei non ha indietreggiato. Ha proseguito, con caparbietà e senso di giustizia. A lui va la mia più profonda stima: è anche grazie al suo coraggio che oggi conosciamo la verità.


Perché quello che oggi viviamo a Cassino è anche il risultato di quegli anni di silenzi, di scelte scellerate, di gestioni opache. Non si tratta di essere contro l’accoglienza. Tutt’altro. Si tratta di pretendere un’accoglienza vera, umana, regolata, in cui i minori siano davvero protetti, non abbandonati a sé stessi e al degrado. Oggi lo dico con amarezza: Cassino è diventata una città dove la paura vince sulla libertà. E quando una donna rinuncia a passeggiare con sua madre perché ha paura, vuol dire che qualcosa si è rotto nel tessuto stesso della comunità.


Serve una riflessione seria, urgente, coraggiosa. Serve un’amministrazione che guardi negli occhi i cittadini e dica: “Non siete soli”. Ma serve anche una cittadinanza che non resti a guardare, che abbia il coraggio di denunciare, di unirsi, di non lasciarsi sfilacciare dal sospetto e dal rancore. Cassino non è perduta. Ma ha bisogno che qualcuno la difenda anche quando è un qualcosa di scomodo. E io continuerò a farlo. Anche da questa panchina, dove una sera ho avuto paura. E da cui, oggi, riparto.

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    Angela Nicoletti

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